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Si parla di

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Chi (s)offre di più?

Foto di FrancescaBo


Una cosa che mi sfugge è la ragione della competizione che alcune persone ingaggiano a chi soffre o ha sofferto di più. 

Come se ci fosse un'asta segreta del dolore di cui solo loro sono a conoscenza.

Vi è mai capitato?

Appena ti sentono dire che hai un problema nella vita, loro ne hanno uno più grande. 

Quando sentono una disgrazia al telegiornale o vedono qualcuno che cerca di combattere per qualche diritto da conquistare partono in quarta: "Uff, ma che ne sa quello della vera sofferenza! Io sì che che ho sofferto davvero!", come se facesse curriculum. 

Che poi, per carità, io vado fiera delle mie cicatrici e soprattutto della forza con cui mi sono rialzata dalle difficoltà che la vita si è divertita a mettermi davanti, ma non per questo sminuisco quelle degli altri.

Anzi, proprio perché ho sofferto, sono sensibile alla sofferenza altrui e non il contrario.

Questo bisogno di sminuire il dolore degli altri per esaltare il proprio non riesco a comprenderlo, mi ricorda un po' la guerra tra poveri in cui non c'è un cazzo da vincere.

Una volta che abbiamo assodato che tu sei il detentore/la detentrice del titolo assoluto di miglior penalizzato/a dalla vita, di miglior sofferente del mondo, di miglior affetto/a da tutte le disgrazie dell'umanità, cosa pensi di aver guadagnato? 

Quando hai fatto l'offerta più alta e hai vinto l'asta, in palio cosa c'era di preciso?

La qualifica per insegnarmi la vita?

Eeeeehhhh no! Non funziona così.

La medaglia per aver attraversato l'inferno non ti rende automaticamente saggio, bisogna vedere in che condizioni ne sei uscito!

E a dirla tutta il fatto che tu stia qui a gareggiare su chi ha la sfiga più patetica qualche indizio me lo dà!

Ma io mi domando: se invece di fare a gara a chi sta più male, giocassimo a chi nonostante tutto sorride di più? 


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